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mercoledì 8 febbraio 2017

Quis est? Jone, l’eroina greca a cui è dedicata la celebre marcia funebre


Giovanni Schinaia


Si può dire che sia quasi la marcia dell’Addolorata nei Misteri. O almeno, lo è negli ultimi 25-30 anni, avendo definitivamente soppiantato la Marcia funebre dall’Opera 35 di Chopin come marcia preferita per il rientro dell’Addolorata nella chiesa del Carmine, la mattina del Sabato Santo.
È la Marcia Funebre dall’Opera “Jone, ovvero l’Ultimo giorno di Pompei”, dI Errico Petrella, la marcia che ormai abitualmente conclude la Settimana Santa tarantina. Perché? Perché è bella, perché è adatta alla solennità del momento, perché il ritornello consente il cosiddetto “mezzo passetto” per fare rientro in chiesa, e – dettaglio non trascurabile – perché il suddetto ritornello si presta ad essere ripetuto ad libitum, evitando così che l’Addolorata rimanga anche solo pochi istanti in strada senza musica.

Quando Errico Petrella mise in scena per la prima volta la sua opera, alla Scala di Milano, il 25 gennaio del 1858, il pubblico degli appassionati rispose subito con grande entusiasmo. L’opera fu replicata spesso e non solo in Italia, per almeno 50 anni, fino a quando, negli anni ’20 del ‘900, non passò di moda. Solo la marcia funebre del IV atto rimase ininterrottamente nel repertorio dei migliori complessi bandistici, soprattutto in Sicilia e nel Sud Italia. Dopo il recupero dell’intera opera, negli anni ’80 del ‘900, ad opera del Teatro di Caracas, anche lo spartito della Marcia Funebre conobbe una rinnovata fortuna. Oggi della Marcia funebre, abbiamo una versione “breve”, che ormai però viene eseguita di rado nelle processioni della nostra Settimana Santa, ed una “lunga”, quella che tutti conosciamo e che, come si è detto, conclude la processione dei Misteri.

Ma chi era questa Jone, il personaggio che dà il suo nome all’intera opera e alla Marcia?
E chi era questo Errico Petrella, l’autore della marcia?

Errico Petrella fu un compositore siciliano che, al suo acme, fu contrapposto addirittura a Giuseppe Verdi. Nato a Palermo nel 1813, iniziò a farsi conoscere piuttosto giovane: del 1829 è la rappresentazione della sua prima opera, Il diavolo color di rosa, un’opera buffa rappresentata a Napoli. Al 1834 risale la sua collaborazione col librettista Giovanni Peruzzini che, fra le altre opere, firmò anche il libretto del dramma lirico “Jone, ovvero L’ultimo giorno di Pomei”, del 1858.
Per il libretto di Jone, il Peruzzini si ispirò, in realtà alquanto liberamente, a un romanzo storico  di Edward Bulwer Lytton - The Last Days of Pompeii – pubblicato nel 1834 e tradotto in italiano due anni più tardi col titolo “Gli ultimi giorni di Pompei”.

Seguiamo la trama dell’opera.
La storia è ambientata nell’anno 79 d.C., nella città romana di Pompei, pochi giorni prima della famosa eruzione del Vesuvio.
Jone è una bellissima ragazza greca, di cui sono innamorati sia il nobile Glauco, sia Arbace, sacerdote di Iside. Jone ricambia l’amore di Glauco, ma Arbace si serve di uno stratagemma per convincere Jone a rinunciare a Glauco: si serve della giovane Nidia, una schiava anch’essa innamorata di Glauco, per tentare di avvelenare il suo rivale in amore. Il piano di Arbace però non riesce e Glauco, dopo un periodi delirio dovuto al veleno, riacquista il senno. A niente valgono anche le avances di Arbace nei confronti di Jone: la ragazza è salvata dallo stesso Glauco che però viene accusato di sacrilegio per aver contrastato Arbace proprio nel tempio di Iside. Glauco è condannato a morte. Arbace propone a Jone di accettare il suo amore, in cambio della grazia per Glauco, ma Jone non accetta. Le macchinazioni di Arbace sono però rivelate all’autorità giudiziara dalla giovane Nidia. Glauco viene condotto al supplizio, ed è qui che si colloca l’esecuzione della celebre Marcia funebre. L’eruzione però interrompe all’improvviso tutte le attività della città di Pompei. L’eruzione provoca la morte di Arbace. Jone ritrova Glauco e i due riescono a fuggire da Pompei. Il finale dell’opera, lieto solo in parte poiché la giovane Nidia va incontro alla morte - Si, m'abbraccia! oh gioia immensa – è cantato dai due innamorati, Glauco e Jone, insieme a Nidia, al coro e a Sallustio, il pretore amico di Glauco che aveva raccolto la denuncia di Nidia.
Nel romanzo, ma non nell’opera di Petrella – Peruzzini, i due innamorati, subito prima della conclusione, si convertono al cristianesimo.


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