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giovedì 21 luglio 2016

Dum fluet unda maris... Quella lapide nella Chiesa del Carmine: la promessa di perpetuità nella nostra storia e nella nostra identità

Non la notano in molti. Non è molto grande e, nella sua posizione attuale non risulta neanche di facilissima lettura: è una piccola lapide bianca, con scritte nere, murata al di sotto della loggia dell’organo a canne; i non più giovanissimi fra i Confratelli del Carmine, la ricorderanno murata, per molti anni, nel vano scale che, dall’ingresso su via Giovinazzi, conducono all’oratorio della Confraternita. 

Questa la trascrizione:

DVM FLVET VNDA MARIS CVRRETQVE PER AETHERA PHOEBVS
VIVET CARMELVS CANDIDVS ORDO MIHI

Si tratta di un distico del poeta Battista Mantovano
Una possibile traduzione può essere la seguente:

Fino a quando scorrerà l'onda del mare e il sole correrà nei cieli,
l'Ordine del Carmelo grazie a Me si conserverà puro

Qualche anno fa, per una sua pubblicazione sulla chiesa del Carmine, l’allora Priore della Confraternita, il compianto Nicola Caputo, mi richiese una traduzione e un commento del testo. E già allora mi permettevo di notare come la traduzione del passo non è univoca: è impossibile, infatti, rendere in italiano l'espressione scarna e lapidaria e, a un tempo, la complessità dei significati che solo la perfezione espressiva della lingua latina può in sé contenere.

Battista Mantovano,
ritratto con la corona di poeta
Il distico, si diceva, è di Giovanni Battista Spagnoli, detto “il Mantovano”, nato a Mantova nel 1448 e morto nella stessa città virgiliana nel 1516. Il Mantovano non fu solo uno dei più grandi poeti latini del suo tempo, ma anche una delle glorie dell’Ordine Carmelitano, nel quale entrò a soli diciassette anni, e di cui, tre anni prima della morte, divenne Priore Generale. Dopo la sua morte si sviluppò nell’Ordine Carmelitano una devozione spontanea, che fu confermata con la beatificazione solo nel 1885 da papa Leone XIII. Nella sua vasta produzione di argomento religioso, si segnala la Parthenice Mariana, in esametri latini, un poema celebrativo della Madonna e di sei sante venerate nella famiglia del Carmelo.
Di lui sono diventati famosissimi quei due versi che, sin da subito, da quello scorcio di quindicesimo secolo in cui furono scritti, conobbero una diffusione pressoché capillare nelle chiese e negli oratori della famiglia Carmelitana.

E giunsero anche nella nostra chiesa di Taranto. Considerati la fattura della lapide e il tipo di grafia utilizzata, non è azzardato ipotizzare che il manufatto risalga addirittura al primissimo insediamento dei Carmelitani a Taranto e che poi, per la sua preziosità simbolica – di cui parleremo – abbia seguito la comunità dei Frati Carmelitani nel suo trasferimento dalla chiesa nei pressi del “fosso” a quella extra moenia che ancor oggi conosciamo come “chiesa del Carmine”. Si tratterebbe quindi di uno dei beni più antichi in possesso della Confraternita, insieme alle testimonianze petrine (il torso di colonna e il ritratto di San Pietro) e alla tabula picta che si venera sull’Altar Maggiore.

Perché, dunque, questa diffusione così capillare? E di cosa parlano quei versi?

Nei due versi è contenuta, poeticamente abbellita, la grande promessa di perpetuità dell’Ordine Carmelitano che la Vergine avrebbe fatto a san Pier Tommaso. Con quei due versi il Carmelo celebrava se stesso e la propria identità mariana. E ricordava a tutti, devoti, Confratelli, monache, frati che, nonostante le difficoltà che l’Ordine ha continuato ad incontrare in ogni tempo, la sua perpetuità era stata promessa direttamente dalla Madonna.

Vediamo allora chi è questo Pier Tommaso e quale sarebbe la promessa che la Madonna gli avrebbe fatto. Gli storici più recenti del Carmelo non parlano volentieri delle tante apparizioni che, almeno fino ad una cinquantina di anni fa invece, la famiglia carmelitana ricordava e celebrava. L’apparizione a San Pier Tommaso è una di queste. Il primo a parlarne fu padre Giovanni di Hildesheim, carmelitano tedesco del XIV secolo. Estremamente attendibile la sua testimonianza: Giovanni non fu solo un contemporaneo di Pier Tommaso, ma fu addirittura suo allievo fra il 1351 e il 1355 allo Studium di Avignone. Nato in Francia nel 1305 ed entrato nell’Ordine Carmelitano a 21 anni, Pierre Thomas fu un insigne teologo del suo tempo e, come legato pontificio, girò le corti di tutta l’Europa. Fu anche vescovo, Patriarca Latino di Costantinopoli e Delegato Pontificio per la Chiesa d’Oriente.

Giovanni di Hildesheim riporta la testimonianza raccolta direttamente dal suo maestro Pier Tommaso:
In tristitia mentis, et ferventibus desideriis obdormivi, et desiderans a Beata Virgine Religionis meae patrocinium, et conservationem; Ipsa mihi respondit: Petre, ne timeas; quia durabit in finem Carmeli Religio; nam pro ea supplicavit Filio meo primus ordinis Patronus Elias in Transfiguratione, ac impetravit.

Traduzione: 
Rimasi a dormire tristemente, pensando ad ardenti desideri e desiderando dalla Beata Vergine la protezione e la conservazione per il mio Ordine; Lei stessa mi rispose: “Non temere, Pietro; poiché l’Ordine del Carmelo vivrà fino alla fine; infatti per esso, a mio Figlio ha rivolto suppliche e preghiere il primo Patrono dell’Ordine, Elia, nella Trasfigurazione.

Appare interessantissimo, da un punto di vista storiografico e teologico, il riferimento scritturale ad Elia Profeta e all’episodio della Trasfigurazione: che si creda o no alla veridicità dell’apparizione, abbiamo una preziosa testimonianza di una devozione Carmelitana, risalente almeno al ‘300, che in qualche modo “completava” il racconto della Trasfigurazione così come lo conosciamo dai Vangeli Sinottici. Gesù, appartatosi dagli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni,  conversava con Mosè ed Elia. Fin qui i Vangeli. Ma cosa si sono detti Gesù e i suoi “ospiti” veterotestamentari? Ai frati Carmelitani del ‘300 piaceva pensare che il profeta Elia già rivolgesse suppliche a Gesù in favore dell’Ordine Carmelitano che non sarebbe stato fondato prima di undici secoli!

La Historia di fra Mariano Ventimiglia
A Giovanni di Hildesheim, seguono nei secoli molti altri storici del Carmelo che raccontano la stessa visione occorsa a san Pier Tommaso. Ci offre una veloce rassegna delle fonti, fra Mariano Ventimiglia nella sua “Historia Chronologica Priorium Generalium Latinorum Ordinis Beatissimae Virginis Mariae de Monte Carmelo”, (Storia cronologica dei Priori Generali Latini dell’Ordine Carmelitano), edita a Napoli nel 1773, il quale ci informa pure che l’Officium  di San Pier Tommaso, con la commemorazione della visione, fu approvato dalla Congregazione dei Riti.
Lo stesso fra Mariano, che fu a sua volta Priore Generale del Carmelo, così riporta le parole della Vergine:
Confidito, Petre, Religio enim Carmelitarum in finem usque Saeculi est perseveratura; Elias namque eius Institutor iam olim etiam a Filio meo id impetravit.

Traduzione:
Abbi fede, Pietro, infatti l’Ordine Carmelitano è destinato a durare fino alla fine del tempo; e infatti il suo fondatore, Elia, ha già ottenuto ciò un tempo dal mio Figlio.

Fra Mariano conclude il suo racconto, dicendoci che “quel distico” trae la sua origine da qui, dall’apparizione cioè a San Pier Tommaso. Fra Mariano non cita l’autore del distico ma noi già sappiamo essere – perché da qui siamo partiti – il nostro beato Battista Mantovano.
Ecco allora cosa ci “racconta” quella lapide sotto la cantoria della chiesa del Carmine. Ed ecco perché appare estremamente plausibile che essa sia appartenuta al corredo del primitivo conventicolo dei Carmelitani, quello fondato fra il 1496 e il 1497. Il distico era stato scritto da Battista Mantovano solo pochi anni prima di quel 1496 e già aveva conosciuto una rapidissima diffusione fra i conventi e le chiese dell’Ordine. 
La preziosità del manufatto non era intrinseca – si tratta di una realizzazione in pietra comune di poco valore materiale e artistico – ma simbolica: la comunità carmelitana di Taranto, appena nata, ricordava a se stessa di essere depositaria della grande promessa di perpetuità fatta dalla Vergine in persona. E nel trasferimento del convento al di qua del fosso, in quello che quattro secoli dopo sarebbe divenuto il borgo umbertino, la comunità dei frati avrebbe portato con sé proprio quella piccola lapide dal valore così identitario.

Ed è quella lapide che oggi ritroviamo nella nostra chiesa, sotto le note del grande organo a canne, a ricordare ancora a noi oggi, alla nostra Confraternita, a tutti i Confratelli le parole della Madre di Dio, nostra Sorella, nostra Titolare:

il Carmelo, grazie a me, vivrà per sempre!



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